lunedì 2 febbraio 2015

Società: la retorica (greca)

La parola retorica deriva dalla diretta traslitterazione dal greco antico di "retorikè téchne" (ῥητορικὴ τέχνη) che significa arte, o tecnica, del dire le cose. Un comportamento retorico è dunque un discorso od un'argomentazione pubblica e formale posta su basi precedentemente studiate e risaltate tramite concetti o simboli preesistenti nell'immaginario collettivo al fine di persuadere o trovare il consenso dell'interlocutore.

I primi esempi storici di retorica in Occidente si hanno a partire dal 465 a.C., quando a Siracusa, terminato un periodo di tirannia condotta per ultimo da Trisabulo,  il filosofo siceliota Empedocle si fece portavoce dei cittadini per la restituzione dei beni e delle terre confiscate in precedenza. Sarà poi Corace, rettore ed allievo di Empedocle a raccogliere per primo in testi e manuali le idee del suo maestro, pochi anni dopo, attorno al (460 a.C).

Seguirono quindi diverse scuole e modi di fare retorica; fra le più significative di quel periodo troviamo quella Pitagorica e quella Sofista. Grazie a queste due correnti, l'arte del dire le cose uscì dai confini siculi ed entrò a far parte della società della Magna Grecia in modo sempre più diretto e costante. Nacque in quel periodo inoltre il mestiere del logografo, che consisteva nel preparare i giovani allievi alle capacità dello scrivere e del parlare. Esigenze e riti fondamentali in una società relazionale, pubblica ed aperta al dialogo come era quella greca a partire dal V secolo a.C. Il più famoso fra tutti i logografi è sicuramente Lisia (445-380 a.C.).
Sapere fare retorica, dunque, aveva un connotato assolutamente positivo per l'epoca, a differenza dei giorni nostri. Per certi versi era più importante il modo di argomentare che il significato in sé.

Fra gli oratori che si distinsero maggiormente nelle zone di Atene, ricordiamo quelli che furono i precursori di quest'arte; ovvero Andocide ed Antifonte. Entrambi uomini molto attivi nel dialogo ed altrettanto contestati per via di vari scandali. Il primo infatti venne condannato all'esilio a vita, il secondo, invece, fu giustiziato.

Nel secolo successivo, quindi  il IV, ad imporsi fu Demostene; filosofo e logografo che scrisse le celebri "Filippiche"; testi che prendono il nome da Filippo II di Macedonia (padre di Alessandro Magno), proprio poiché vennero composte al fine di raccogliere e spingere gli ateniesi a ribellarsi dalla politica bellica ed espansionistica della Macedonia. Fu di tutt'altre vedute, ma altrettanto significative Eschile; il quale invece spingeva verso un assorbimento con la cultura macedone, a suo dire opportuno ed inevitabile. Proprio in questi due elementi si personifica quella che sarà ed è tutt'ora il metodo retorico. Da una parte Demostene, che esprime il suo disappunto tramite uno stile istrionico, vigoroso e pungente. Dall'altra Eschile, che porta alla luce la sua aderenza con lucidità, praticità e convinzione.

Col tempo "arriveranno" molti maestri di retorica; ognuno porterà la sua idea e il suo modo di approcciarla ed intenderla. Ad esempio per Platone, influenzato molto dal maestro Socrate, la retorica è una semplice abilità che andava affinata col dialogo quotidiano. Il successivo Aristotele, invece, la considerava un mezzo che tramite sillogismi ed associazioni avrebbe avuto uno scopo mellifluo e persuasivo. Seguì l'Ellenista Zenone che la considerava la parte complementare logica della dialettica. Questi intellettuali della Magna Grecia influenzarono quello che fu il successivo dominio e pensiero romano, nel quale, nel corso del tempo, spiccarono figure brillanti quali Appio Claudio Cieco (350 a.C-271), Marco Porcio Catone, Cicerone, Gaio Licinio Verre, Cesare, Quintiliano e molti altri. Che come vedremo in un secondo post, andranno a loro volta ad influenzare la retorica, quindi il pensiero ed il modo comune di agire degli oratori e dei filosofi che li succederanno.











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